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Le tecniche di fidelizzazione non rendono più come un tempo

I programmi di fidelizzazione con cui le aziende cercano di tenersi i clienti non danno più i risultati sperati e per questo bisogna concentrare gli sforzi e gli investimenti su elementi che realmente funzionino nell’era digitale: dalle offerte personalizzate ai prodotti su misura, sino all’offerta di esperienze che coinvolgano realmente i consumatori.
E la conclusione della ricerca di Accenture Strategy intitolata «Seeing beyond the loyalty illusion: it’s time you invest more wisely» (Vedere oltre l’illusione della fedeltà: è tempo di investire in maniera più intelligente) che rivela l’atteggiamento di oltre 25 ,4 mila consumatori in tutto il mondo, di cui 1.501 italiani, in merito alla loro fedeltà a marchi e aziende.
Dallo studio è emerso che una larga maggioranza dei consumatori italiani (1’87%) abbandona sempre più spessi i programmi di loyalty, mentre il 60% ha cambiato fornitore nel corso dell’ultimo anno e quasi un quarto (il 24%) ha confermato che le proprie aspettative in termini di fedeltà al marchio sono completamente cambiate.

fonte: Italia Oggi

 

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Call center: nuova comunicazione con quali modalità?

A partire dal 28 marzo 2017 sarà disponibile il modello di comunicazione da inviare al Ministero del lavoro e all’Ispettorato nazionale del lavoro da parte delle aziende che hanno al proprio interno un servizio di call center e che vogliano localizzare, anche mediante affidamento a terzi, l’attività fuori dal territorio nazionale in un Paese che non è membro dell’Unione europea. La comunicazione deve essere inviata, per via telamatica, almeno 30 giorni prima del trasferimento indicando i lavoratori coinvolti: con quali modalità operative?

Il Ministero del Lavoro, con la nota prot. 1328 del 1° marzo 2017, fornisce alcuni chiarimenti operativi circa le nuove disposizioni in materia di occupazione nelle attività di call center. In particolare, il Ministero illustra le modalità di comunicazione, alla pubblica amministrazione, da parte di tutte le aziende che hanno al proprio interno un servizio di call center, qualora vogliano localizzare, anche mediante affidamento a terzi, l’attività fuori dal territorio nazionale, in un Paese che non è membro dell’Unione europea (articolo 24-bis del decreto legge 22 giugno 2012, n. 83, come modificato dall’articolo 1, comma 243, della legge 11 dicembre 2016, n. 232 – c.d. legge di Bilancio 2017).
Destinatari

 

fonte: rete8.it

 

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Reintegrati i lavoratori licenziati dalla 3G di Sulmona

Il Giudice del Lavoro accoglie i ricorsi di 51 lavoratori licenziati dal call center 3G di Sulmona. Dovranno riavere anche 12 mensilità.
Festeggiano vittoria i 51 dipendenti del call center 3G di Sulmona che avevano impugnato i licenziamenti (in tutto 82) scattati nel 2015.

Il Giudice del Lavoro del Tribunale peligno ha infatti ordinato la reintegra e condannato l’azienda al rimborso di 12 mensilità arretrate, con le relative contribuzioni: un conto salato che si aggira complessivamente attorno ai 2 milioni di euro. Secondo i ricorrenti l’azienda aveva proceduto al piano di ristrutturazione senza tener conto dei criteri di anzianità, dei carichi familiari e della possibilità di trasferimenti in altre unità operative. Una violazione dei princìpi dello Statuto dei Lavoratori che il giudice ha ritenuto palese, annullando nella sostanza gli effetti della decisione. La sentenza di Sulmona del resto è in linea con le analoghe decisioni già prese dalla magistratura sia a Chieti che a Campobasso. Proprio in Molise in queste settimane la 3G ha attivato una nuova procedura con 248 esuberi, rispetto alla quale è già alta l’attenzione dei sindacati, pronti a vigilare affinché anche in Abruzzo i lavoratori appena rientrati dalla finestra non vengano nuovamente rimessi… alla porta.[/fusion_text][fusion_text]

fonte: rete8.it

 

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Economia digitale, cloud e IoT spingono la timida ripresa dell’Italia

Il mercato italiano 2.0 è cresciuto dell’1,8%, rileva l’ultimo studio Assinform-Netconsulting, toccando i 66 miliardi di euro grazie ai servizi in nuvola e all’Internet delle Cose. Bene anche il mobile e la cybersecurity. Ma il gap con l’Europa resta elevato
Andrea Frollà
Servizi legati alle tecnologie dell’informazione spinti dal boom del cloud e servizi software trainati soprattutto dalle nuove tecnologie IoT. È questo il duo che permette all’economia digitale di confermare alcuni segnali positivi e di proiettarsi in un 2017 di conferma della ripresa. Il mercato italiano 2.0 ha da poco ripreso a crescere dopo anni di difficoltà, raggiungendo nel 2016 un giro d’affari da 66 miliardi e crescendo dell’1,8%.
I dati contenuti nella fotografia annuale scattata da Assinform, associazione del network Confindustria che raggruppa le principali aziende del settore, e NetConsulting Cube, restituiscono un mercato che sta provando a rimettersi in moto con decisione sfruttando i principali driver della digital economy. Il cloud e l’Internet of Things, ad esempio, hanno fatto segnare una crescita rispettivamente del 23 e le 14,3%. Proseguono sulla falsariga dei ritmi registrati fra 2014 e 2015 anche il business mobile (+13% in un anno) e le soluzioni di cybersecuirty (+11%). Da segnalare anche il numero delle startup innovative cresciute del 31% fino a quota 6.745, mentre progressi meno sostenuti si sono visti sul fronte banda larga fissa, oggi utilizzata da 15,4 milioni di utenti (il 4% in più rispetto al 2015).
“Siamo oltre i timidi segnali di un anno fa ed è la conferma netta della ripresa degli investimenti nell’innovazione tecnologica nel nostro Paese – commenta Agostino Santoni, presidente di Assinform – Certo, servirebbe ancora più spinta”. Questi numeri ci tengono infatti ancora ben lontani dalle migliori performance europee, come ha da poco certificato il Digital economy and society index dell’Unione Europea che ha piazzato l’Italia al 25° posto fra i 28 Paesi UE.[/fusion_text][fusion_text]

fonte: repubblica.it

 

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I dati personali in tutta Europa

Se un abbonato telefoni­co acconsente alla pub­blicazione dei propri dati, questo via libera vale anche per il trattamento dei suoi dati in un altro stato dell’Unione europea. In aggiunta, l’abbonato non dovrà dare nuovamente il suo consenso alla trasmissione degli stessi dati da parte del proprio operatore a un’altra impresa, qualora gli venga garantito che i dati in questio­ne non saranno utilizzati per scopi diversi rispetto a quelli per cui sono stati raccolti. In sostanza, il via libera al trattamento dei dati telefonici personali diventa universale ed europeo; con la conseguen­za che una qualunque azien­da competitor di un qualun­que altro stato dell’Unione europea potrà utilizzare quei dati per profilare il cliente e proporre le proprie offerte di mercato. Questo è quanto si legge nella sentenza della Corte di giustizia Ue (seconda sezione) del 15 marzo 2017 nella cau­sa C-536/15 sul consenso di un abbonato telefonico alla pub­blicazione dei propri dati.

fonte: Italia Oggi

 

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